degli sviluppi Seicenteschi e Settecenteschi
CAPITOLO QUARTO
GLORIA DROGHI
PROCESSI DI TRASFORMAZIONE DEL TERRITORIO, ORGANIZZAZIONE DEL TESSUTO URBANO E PIANIFICAZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE ABITATIVE, A GENOVA NEL XIX SECOLO.
I processi di trasformazione che nel corso del secolo mutano il volto della città, riguardano la realizzazione di nuove vie di comunicazione e la costruzione di organismi edilizi sia pubblici che privati. Il secolo XIX vede annesso il territorio della ex Repubblica genovese, trasformata in Ducato, al Regno di Sardegna e governate dal governo sabaudo che provvede subito alla pianificazione di un imponente programma di fortificazioni atte a difendere la città dalle invasioni nemiche; durante i secoli nei quali Genova è retta come Repubblica indipendente rimane sostanzialmente immutata nelle sue dimensioni che sono quelle della cinta muraria trecentesca all’interno della quale il tessuto urbano si sviluppa concentrato senza alcuna dilatazione verso l’esterno. Il processo di trasformazione e l’organizzazione urbana si scontrano con la morfologia particolare del territorio, caratterizzato dalle montagne incombenti sull’ansa pianeggiante intorno al porto, delimitato a ponente dal promontorio della Lanterna e a levante dalla collina di Castello. Lo sviluppo della città avviene attraverso assi viari che tendono a convergere nel nucleo più densamente abitato della ripa. La pianificazione di nuovi spazi urbani e la progettazione di un tessuto urbano moderno risponde alle nuove esigenze della classe borghese desiderosa di affermare la propria superiorità sulle altre classi sociali, investendo anche i profitti ricavati dal commercio nel settore immobiliare e parallelamente alla necessità di nuove abitazioni date le condizioni drammatiche di abitabilità del centro storico; l’aumento della popolazione, ancora fermo intorno al 1820 rispetto al secolo precedente, va rapidamente crescendo con un incremento del 13% in soli cinque anni dal 1827; l’investimento immobiliare assume un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella pianificazione urbana, fino ad influenzare forma e modalità dello strumento di pianificazione urbanistica. I processi di trasformazione della città sono talmente numerosi da innescare un vero e proprio dibattito nel quale la stampa cittadina assume un ruolo fondamentale per la divulgazione delle informazioni riguardanti i progetti e le nuove idee; in un primo momento, sono coinvolti solo gli addetti ai lavori, successivamente anche alcuni gruppi più sensibili dell’opinione pubblica.2I problemi inerenti la crescita e la trasformazione della città, rendono indispensabile l’individuazione di un metodo, con il quale operare le scelte di ciascuna operazione urbanistica, che viene individuato nelle Commissioni, attraverso le quali, il Municipio esamina in prima istanza le ipotesi di intervento. Nelle Commissioni sono presenti competenze specialistiche affiancate da rappresentanze delle diverse tendenze politiche, facenti parte del consiglio comunale. Successivamente, viene operata la scelta di istituire concorsi per la risoluzione di problemi urbani, come per la sistemazione di Via Roma, per il Piano Regolatore della regione di Albaro e per l’ampliamento del porto.3 Gli interventi urbanistici fino dal 1825 fanno riferimento al Piano di ampliamento di Carlo Barabino che alla scadenza della nomina di Architetto del Comune si vede demandati i progetti esecutivi, le perizie e la direzione dei lavori delle opere straordinarie all’interno delle mura. Il Barabino, nel suo ruolo di urbanista, sa cogliere ed interpretare la necessità cittadina di espansione, proponendo un piano che prevede nuovi spazi adatti ad accogliere un tessuto urbano moderno, scandito da vie spaziose, aperto alle nuove esigenze insediative; nasce così nel 1825 il “Progetto per aumentare le abitazioni nellnella città di Genova”, una costruzione organica, nella quale è presente uno stretto legame tra disegno della città e singolo intervento edilizio, secondo i criteri dell’urbanistica neoclassica.4L’innovazione, sta nell’aver individuato direttrici di espansione come Carignano, le valli a ridosso dell’Acquasola, il cui progetto determina un nuovo centro della città, e la regione di S. Vincenzo e del Cavalletto: l’opera del Barabino rimane l’unica proposta di assetto urbanistico della città per più di un secolo.5 Le previsioni del Piano vengono attuate solo in parte, nel 1849, infatti, l’interesse per una espansione urbana che risponda maggiormente alle esigenze del potere economico e politico, porta ad una revisione del Piano di ampliamento del Barabino, da parte di una Commissione Consiliare. Le conseguenze si possono individuare nel mancato studio di appropriate tipologie edilizie in rapporto a ciascuna area, come nei nuovi edifici di Via Assarotti e quelli realizzati nella zona di Carignano che presentano analoghe caratteristiche tipologiche. Con le prime espansioni legate alle operazioni urbanistiche del primo Ottocento, avviene lo spostamento del centro della città ed il vero cambiamento di funzione del vecchio confine; le aree più prossime alle mura del 1156, sono infatti anche il limite del piano barabiniano e diventano cerniera del nuovo impianto urbano con la polarità di Piazza De Ferrari. La struttura viaria è sempre più carente, sia all’interno dell’abitato, che nei percorsi perimetrali di accesso; nel 1826, per connettere gli assi già esistenti tra Piazza Acquaverde e Porta Pila, si apre la via Carlo Felice che, tagliando il tessuto urbano medioevale, permette il collegamento di Via Balbi, Via Cairoli e Via Garibaldi con il percorso orientale della Via Giulia, attraverso la Piazza del Teatro ( ancora Piazza S. Domenico), centro cittadino di edifici pubblici e monumentali nonchè punto di riferimento dell’orditura urbanistica.6 Nel 1819 infatti viene demolito il monastero (S. Domenico), dal quale la Piazza prende il nome, per far posto al Teatro Carlo Felice e al Palazzo dell’Accademia; si trasforma così in Piazza De Ferrari, dalla struttura urbana irregolare, dove in parte è ancora individuabile l’aspetto tradizionale, nelle facciate dei palazzi del lato di ponente, le cui costruzioni costituiscono il limite dell’antica area urbana. La Strada Giulia non è ancora arteria per gli affari, ma consente il collegamento tra il levante e il ponente. E’ una strada di grande passaggio, sia di persone, che di veicoli, nella quale dopo un allargamento peraltro insufficiente, nel 1840, per autorizzazione del Re di Sardegna, comincia a circolare la prima linea di omnibus.7 Il 1824 vede la progettazione con la successiva realizzazione nel 1835 di una nuova strada rivoluzionaria, destinata ad influire sul futuro assetto viario, pensata come via di scorrimento veloce e di servizio al porto. Tale percorso, denominata carrettiera Carlo Alberto (oggi Via Antonio Gramsci), corre lungo la ripa portuale da Porta S. Tommaso e raggiunge Caricamento, come prolungamento di una più antica strada sistemata dal Barabino del 1818, dalla Lanterna al Borgo di Fassolo, ingresso a Ponente della città, ma assolutamente insufficiente dato l’aumento del traffico su quella direttrice.8 A lavori ultimati viene decisa la prosecuzione fino alla Piazza Nuova (oggi Giacomo Matteotti) con un deciso taglio nel tessuto urbano compatto del centro storico, completato poi nel 1945 e intitolato a S. Lorenzo, che consente il collegamento al centro cittadino. La Piazza assume una importanza eccezionale e i due nuovi assi viari consentono di percorrere con mezzi rotabili l’intera città da una parte all’altra senza entrare nel centro storico. La nuova viabilità cittadina ha conseguenze fondamentali per il futuro sviluppo della città; decade l’importanza della parte più meridionale del vecchio centro, parallelamente assume il ruolo di centro cittadino la zona compresa tra Piazza De Ferrari, Piazza Caricamento e Piazza Fontane Marose. Nel 1844 viene iniziata la costruzione della linea ferroviaria Torino-Genova e completata nel 1853.9 Il collegamento ferroviario incide significativamente sia sull’assetto economico della città, che viene finalmente inserita in un ampio giro di affari, che sulla topografia cittadina, per la scelta della collocazione della stazione; in un primo momento, il capolinea viene ubicato in Piazza Caricamento, più a servizio dei traffici portuali, ma successivamente, viene progettata una stazione di grandi dimensioni da collocare nell’estremo ponente della città, dove l’unica zona possibile, date le condizioni morfologiche del territorio, si individua nella Piazza Acquaverde. L’intervento comporta la demolizione della Porta di S. Tommaso, dei Monasteri di San Paolo e Santo Spirito, per consentire la realizzazione della Via Andrea Doria, che permette il collegamento tra Via Balbi e la strada per Fassolo, ponendo le basi per la futura espansione dell’area urbana verso ponente. Successivamente i lavori di costruzione interessano la linea per Savona, che nel 1856 raggiunge Voltri e con la realizzazione di quella per il Levante; la linea Genova-Chiavari viene aperta nel 1868 e comporta la costruzione della nuova stazione Brignole in seguito alla demolizione del convento donato da Emanuele Brignole alle suore di N.S. del Rifugio. La Stazione Brignole viene immediatamente collegata con l’area portuale e solo successivamente, nel 1872 con la Stazione Principe. La sistemazione della zona dell’Acquasola, su progetto del Barabino, apre la strada alle nuove espansioni che si attestano a monte di essa dopo la metà del secolo.La zona dell’Acquasola per la posizione panoramica e la facilità di accesso, è già meta di passeggio dei genovesi; il 24 maggio del 1823, viene pubblicato sulla Gazzetta di Genova, il progetto dell’Acquasola e delle strade di accesso. La soluzione del Barabino concilia le diverse esigenze, in quanto trasforma una zona verde in area urbana come un giardino pensile panoramico sulla città. L’approvazione del progetto barabiniano incontra ostacoli in quanto prevede l’alterazione della linea delle fortificazioni del 500 e la demolizione del bastione dell’Acquasola. Nel 1821 viene concessa l’approvazione a condizione che le nuove mura siano costruite più a Est, in rapporto alla larghezza della passeggiata. Nel 1877 il secondo tratto viene demolito per la sistemazione di Piazza Corvetto. Gli interventi urbanistici nella seconda metà dell’ottocento, sono la conseguenza della rielaborazione del Piano del Barabino, in un periodo nel quale, le esigenze alle quali si fa riferimento risultano differenti rispetto a quelle di inizio secolo e sono individuate principalmente nella capacità di investimento delle classi sociali chiamate a realizzare la crescita della città. Come previsto nel Piano del Barabino l’urbanizzazione delle valli a monte manifesta stretto legame tra, sviluppo degli assi viari e interventi edilizi; la necessità di alloggi, riguarda anche le classi signorili, non solo per la avvenuta crescita della popolazione, ma anche per il desiderio di nuove abitazioni più moderne nei servizi e nella distribuzione dei vani. Viene individuata l’area adatta ad accogliere questo nuovo tipo di abitazioni, vicino al centro della città, per consentire uno stretto legame con i servizi, nella zona a monte dell’Acquasola, superando il problema della morfologia del territorio, caratterizzato dalla notevole pendenza, facendo riferimento all’edilizia tardo-rinascimentale, ovvero ai rettifili a fondo cieco (Strada Nuova) che dal centro si irradiano verso il monte, sui quali affacciano grandi edifici signorili a blocco, liberi sui quattro lati, separati da giardini, con larghezze dei fronti e altezze costanti, suddivisi in grandi appartamenti, comprendenti gli alloggi della servitù. Tra luglio e dicembre del 1851 viene approvata l’apertura di Via Assarotti e di Via Caffaro; nel 1859 il progetto per la sistemazione della valle compresa tra i colli di S. Rocchino e Santa Maria della Sanità, completando l’urbanizzazione tra Via Assarotti e Via Caffaro. Il progetto di Via Assarotti è opera dell’Arch. Resasco; in una prima stesura è prevista una piazza che interrompe a metà il percorso ed una esedra terminale, successivamente, nel 1855, viene approvata una variante nella quale la piazza centrale viene soppressa e al posto dell’esedra, l’attuale Piazza Manin e il collegamento con la valle del Bisagno. L’attuazione del piano, trova rispondenza con la volontà della borghesia imprenditoriale e solo in un caso si procede all’esproprio di un lotto fabbricabile.10 L’Amministrazione Comunale detta le norme per l’apertura della strada, con le quali si fa carico dei costi per la demolizione delle case esistenti e della sistemazione della strada. Per l’attuazione del Piano di Via Caffaro, vengono presentati due progetti; il primo dell’Arch. Pittaluga che prevede una realizzazione con caratteristiche simili a Via Assarotti, il secondo per iniziativa di un Consorzio di proprietari di lotti, che intendendo conservare il diritto di edificare, obbligano il Municipio ad accogliere un progetto che prevede un uso più intensivo dei terreni fabbricabili, formulando un decreto di pubblica utilità delle opere previste e fissando in normativa i limiti per la realizzazione.11 Terminata l’urbanizzazione del fondovalle nasce l’esigenza della espansione della città verso il monte e del collegamento tra le testate delle nuove arterie. La prima idea di una Circonvallazione a Monte tra S. Anna e il Castelletto, viene proposta in una funzione essenzialmente agricola.”Una strada che riunisse le sette chiese di sopra accennate, oltre al procurare un vantaggio incalcolabile agli abitanti per le comunicazioni, faciliterebbe pure i trasporti ai coloni di queste amene campagne, e sarebbe di infinito diporto nella bella stagione”.12 L’area, come evidenziano le stampe dell’epoca, risulta disseminata di conventi, ville e casolari, ma quasi del tutto agricola. In seguito alla realizzazione dei rettifili a fondo cieco, nasce l’esigenza di tracciare una strada di collegamento in cornice, tra Via Assarotti, a quota m. 81.50 a Levante e la Spianata di Castelletto, a quota m. 78.60 a Ponente, lungo l’antico percorso dell’acquedotto, al quale collegare attraverso scalinate, le testate di Via Palestro e Via Caffaro, terminanti a quote più basse. La Circonvallazione a Monte è in realtà una strada pensata per una funzione e poi realizzata per un’altra, ovvero da un progetto iniziale di collegamento per agevolare i traffici commerciali ed agricoli, diventa elemento viario per l’insediamento signorile ed è destinata poi, a diventare elemento di base per una ulteriore urbanizzazione verso i pendii. La prima proposta progettuale del 1856, non ebbe seguito; l’idea contenuta nel progetto degli architetti Cecchi, Cervetto e Descalzi13, viene sviluppata nel 1863 dall’ingegnere Resasco14, il quale studia una strada di circonvallazione che da Via Assarotti arriva fino alla Collina di S. Benigno, in un progetto di espansione urbanistica grandioso.
La realizzazione, avvenuta in tre fasi, riguarda il collegamento, nel 1865, della zona di S. Bartolomeo degli Armeni con Castelletto, nel 1867, da Castelletto a Piazza Acquaverde, tratto realizzato solo in parte, infatti, quando viene deciso il collegamento alla Piazza Acquaverde con discesa nella valle di Carbonara, si pensa di realizzare ad una quota più elevata una strada parallela a Via Balbi; questo tratto rimane però sulla carta e viene realizzata più tardi (1890), Corso Firenze che sale da S. Nicolae poi ridiscende a Montegalletto, raggiungendo La Piazza mediante i tornanti di Via Ugo Bassi e Via S.Ugo.La terza ed ultima fase nel 1880, con il collegamento tra S. Bartolomeo degli Armeni e Piazza Manin. Lungo la Circonvallazione i fabbricati vengono edificati principalmente sul lato a monte, sia per non precludere ad essi la vista della città sottostante con altre case, sia per il dispendio economico derivante, dato il forte dislivello del terreno; gli edifici affacciano sulla strada con il fronte principale e il retro non è mai in vista. Le modalità di intervento per l’edificazione della Circonvallazione sono innovative rispetto alle precedenti di Via Assarotti e Via Caffaro. Viene creato un consorzio tra il Comune e i proprietari, per la realizzazione delle infrastrutture, dove ai proprietari spetta la cessione del terreno necessario alla realizzazione delle strade e delle piazze e alla amministrazione comunale la costruzione delle stesse. Si procede all’esproprio per quei terreni i cui proprietari non aderiscono al consorzio e viene fissato il limite di sei mesi dalla dichiarazione di pubblica utilità delle opere previste dal piano.15 Parallelamente alla espansione della città sulle colline, viene avviato lo studio del Piano Regolatore per la Regione di Carignano; il Piano individua chiaramente tre zone di sviluppo, la Collina di Carignano, rimasta zona suburbana e di alto valore ambientale, le falde del Colle di S. Bartolomeo e di Santa Maria della Sanità e i piani della Pace e di S. Vincenzo. Le scelta formulate dal Barabino nel 1825 permangono nella definizione urbanistica e vengono elaborate nel corso di un decennio. Il Piano Regolatore viene approvato nel 1867 con Regio Decreto e nel 1869 dal Consiglio Comunale, anno in cui viene redatto il piano di ingrandimento della Piazza antistante la Basilica. Per la realizzazione delle infrastrutture previste dal piano, il colle viene suddiviso in zone; nelle aree a margine, vicino alle mura, l’esecuzioneviene prevista a carico del Municipio, mentre nelle aree più centrali, è affidata ad un Consorzio tra Comune e proprietari, dove il contributo di questi ultimi, è differenziato in base al pregio della zona. Nei mesi in cui vengono sviluppate le precedure attuative del piano, si apre un dibattito inerente le scelte effettuate che portano l’Ingegner Ferrari alla redazione di un progetto nel quale esprime un modello di espansione urbana tipicamente ottocentesco; opera una sostanziale modifica alla forma della piazza proposta dal Barabino, da ellittica a rettangolare con due porticati bassi. Il Ferrari non presta grande attenzione alle caratteristiche morfologiche dell’area e propone una maglia ortogonale ottocentesca, ambientata su un territorio non pianeggiante; il che rende difficilmente attuabile il progetto. L’Amministrazione Comunale chiama l’Ingegner Poggi per redigere un nuovo piano le cui caratteristiche si ritrovano nella variante al piano adottata nel 1877, dopo la costruzione dell’ospedale Galliera. L’urbanizzazione di Carignano viene completata a fine secolo. Già dalla metà dell’ottocento si pensa ad una espansione urbana sulla Piana del Bisagno, utilizzata fino a quel momento per la localizzazione di alcuni servizi, come il cimitero, il lazzareto, il ricovero per mendicanti, che devono rimanere nelle zone periferiche; Tra il 1861 e il 1871 la crescita demografica nelle frazioni suburbane arriva al 30%; la estensione dei confini urbani diventa sicuramente una necessità data la ristrettezza dell’area comunale, dove la crescita della popolazione nello stesso periodo è appena del 2%. La città appare ancora chiusa dalla cinta muraria delle “mura nuove”, che tra il Cavalletto e Montesano presentano il duplice baluardo delle fronti basse il tutto difeso da un terrapieno di grande profondità. La parte occidentale della piana è totalmente inutilizzata mentre nella porzione orientale l’urbanizzazione è iniziata negli anni ’50. Il primo progetto che già risale al 1851 è quello relativo a Via Minerva (oggi (oggi Corso B. Ayres), dove si ripete il concetto dei due fronti edificati non interrotti da strade trasversali; nel 1865 viene redatto il progetto per Via della Libertà, dove si modifica la precedente impostazione, innestandosi perpendicolarmente a Via Minerva, per congiungerla al cantiere della foce. Questi due progetti precedono e condizionano il Piano di Ampliamento del 1877, anche perché l’edificazione delle due strade a quell’epoca è già iniziata e rimane fondamentale il riferimento all’impianto viario già utilizzato per Via Assarotti. Un primo progetto redatto in questi anni non viene realizzato, ma pone le basi per gli studi del Piano che nel 1877 trova approvazione. Vista l’ampiezza dell’area si procede con modelli un modello insediativo costituito per gran parte da assi stradali, definiti da ambo i lati da una successione di edifici.16 L’uso della maglia ortogonale crea in fase di progettazione non pochi problemi; il sistema viario è organizzato secondo gli assi paralleli, di Via Casaregis, Corso Torino e Via della Libertà, che servono sei lotti edificabili, lasciando grandi vuoti ai margini che si cerca di colmare con edifici destinati a pubblico servizio. L’orditura di questa zona è orientata sud-nord, mentre il tessuto urbano e i collegamenti avvengono secondo l’asse est-ovest; gli accessi al quartiere, attraverso i ponti sul Bisagno arrivano ortogonalmente agli assi stradali. La Costruzione degli edifici avviene in più di un ventennio e le modalità attuative presentano aspetti innovativi. Non vengono più realizzate contemporaneamente edifici e infrastrutture, ma spetta al Comune la realizzazione della rete infrastrutturale e successivamente avviene l’edificazione. I parametri urbanistici adottati sono molto simili a quelli di oggi e vengono stanziati contributi per la proprietà fondiaria ed edilizia. Le modifiche al Piano vengono apportate fino ai primi anni del secolo XIXe sono relative agli spazi edificabili, per i quali viene fortemente ridotta la destinazione a edifici pubblici, alle piazze e alle vie trasversali di collegamento, che si rendono necessarie per facilitare l’attraversamento tra una strada e l’altra. Nel 1888 vengono approvate alcune varianti nella zona tra Via Minerva ed il mare, inerenti l’abbattimento delle fronti basse, di proprietà del demanio militare a alla apertura di una nuova strada da Piazza Cavour alla spianata del Bisagno. L’eliminazione delle “fronti basse” si rende necessaria per collegare la Stazione Brignole, fino a quel momento completamente isolata e aprire una grande via in sostituzione della Via Giulia, per unire il centro della città con la parte nuova, attraverso i ponti sul fiume Bisagno. Nel 1891 il Consiglio Comunale approva una variante al Piano per la costruzione di un nuovo carcere su un’area industriale e nel 1897 il collegamento con Piazza Tommaseo per consentire il collegamento con le regioni di Albaro e S. Martino. Il concorso per la sistemazione della regione orientale della città sulle pendici di Albaro viene bandito dalla Amministrazione Comunale nei primi anni del 1900 e rimane una delle vicende urbanistiche più contrastate. L’avvio di questa nuova fase di sviluppo urbano vede susseguirsi una serie di concorsi per la formazione del Piano di espansione della regione di Albaro, diverse Commissioni giudicatrici chiamate a deliberare i progetti, le varianti e le soluzioni alternative del Piano, che viene definitivamente approvato nel 1906 e adottato nel 1908.17 Nel 1868, il Consiglio Comunale è costretto a prendere in considerazione l’inadeguatezza della Via Giulia, divenuta strada di grande traffico e pericolosità,18 dove le attività commerciali sono triplicate, rispetto agli anni ’40; nel 1880 viene presentato alla Amministrazione Comunale un ricorso sottoscritto dalla maggior parte dei proprietari, inquilini ed esercenti di Via Giulia, diretto ad ottenere un intervento nell’interesse della pubblica sicurezza. La strada è fiancheggiata da una edilizia di scarso valore che non presenta particolari caratteri architettonici, ma è molto valutata dal punto di vista fondiario ed immobiliare, grazie alla importanza commerciale. Dal 1881 vengono presi in considerazione quattro progetti che prevedono l’allargamento della via da 7 a 15 metri e l’Amministrazione Comunale pur dichiarando formalmente la volontà di intervenire non possiede i mezzi finanziari. Il problema rimane insoluto ancora per diversi anni, fino al 1887, quando il Consiglio Comunale affida a due noti istituti di credito, la Banca Generale e la Cassa di Sovvenzione delle Imprese, l’incarico della realizzazione di una nuova strada, la futura Via XX Settembre, sul tracciato della antica Via Giulia e della Consolazione. La sostituzione di Via Giulia con la Via XX Settembre, asse viario di larghezza superiore ai 20 metri, costituisce un evento eccezionale, sposta il baricentro cittadino verso levante e segna la distruzione di alcuni agglomerati sorti a ridosso delle antiche “mura del Barbarossa”, come il borgo Sacco, il monastero di Sant’Andrea, il Morcento e il borgo dei Lanaioli.L’intera opera di costruzione viene realizzata su progetto dell’Ingegner Cesare Gamba, che per provvedere al risanamento, migliorare la viabilità e aumentare l’area fabbricabile, estende l’intervento anche allo sterro dei colli laterali di Piccapietra e Sant’Andrea, aree di edificazione popolare molto densa, su vicoli stretti, addossata a grandi edifici adibiti a servizi. Il progetto in primo luogo non prevede la realizzazione dell’intero percorso, ma l’allargamento di Via Giulia fino ai Quattro Canti di Portoria e la sistemazione di un’area a monte tra la Galleria Mazzini e la Via Portoria, fino alla Porta Soprana. La lottizzazione della zona è completa e prevede anche la demolizione dei vecchi edifici esistenti e la costruzione di nuovi, di maggior valore e con funzione commerciale e pubblica, compiendo una attenta analisi economica dell’intervento.19 Con una revisione del progetto iniziale, date le pressioni per evitare la demolizione del Monastero di S. Stefano, il Gamba opera uno spostamento verso sud dell’asse della strada, consentendo anche di allargare il tratto dai Quattro Cantoni alla porta. La proposta di esecuzione è presentata nel 1887 e si articola in tre differenti fasi. L’allargamento fino a 20 metri, con pendenza dell’1,25% di Via Giulia e lo sventramento parziale di Piazza De Ferrari da attuarsi nell’immediato, la demolizione del padiglione del Genio Militare su Piazza dell’Arco con ricostruzione del muro di sostegno alla Chiesa di S. Stefano, la conservazione del monumento dell’Arco, da attuarsi in una seconda fase e lo sterro della collina di Piccapietra con la formazione di un nuovo quartiere attraversato da tre assi viari perpendicolari a Via Giulia e prolungabili fino a Sarzano in una terza fase. La vicenda che porta alla realizzazione dell’opera non è priva di ostacoli e prende l’avvio dal 1890, anno in cui viene emanato il Regio Decreto che concede dieci anni per la costruzione, in assenza di opposizioni, dichiarando l’opera di pubblica utilità. La costruzione di Via XX Settembre, per la dimensione finanziaria e organizzativa, segna un profondo cambiamento del processo produttivo e si assiste per la prima volta in città all’introduzione dell’uso del cemento armato. La comprensione dell’evoluzione della tipologia edilizia ottocentesca è possibile partendo dagli insegnamenti ricevuti dal Barabino durante il suo soggiorno a Roma presso la scuola di Giuseppe Barbieri, dove si richiamano gli insegnamenti di Percier e Fontaine, che a Parigi esaltano le opere degli architetti del Rinascimento e indicano i palazzi di quell’epoca come modelli per gli edifici di abitazione.20 Il “Piano per l’ampliamento delle abitazioni” del Barabino, è corredato di precise indicazioni tipologiche, con riferimento preciso alle forme del Rinascimento, nei tipi palladiani e genovesi, caratterizzati dalla tripartizione dei fronti e nell’uso delle coppie di piani gerarchizzati. Gli edifici realizzati nei rettifili di fondo valle, Via Assarotti, Via Caffaro, Via Palestro, Via Goito e Via Pertinace, sono riconducibili al modello locale cinquecentesco di Strada Nuova, nel succedersi a blocchi intervallati da distacchi; la soluzione di prospetto più ricorrente è quello con tre coppie di piani sovrapposti con una zona basamentale a bugnato, costituita da uno zoccolo sopra il quale vi è una coppia di piani gerarchizzati e una zona di elevazione con due coppie di piani gerarchizzati. Dove il regolamento urbano consente l’edificazione ad una maggiore altezza, oltre i sei piani, le ripetizioni delle gerarchie di piani avvengono in modo più libero. In seguito al Piano del Resasco, in una fase di edificazione più intensiva, il riferimento ai modelli rinascimentali rimane ma si perde la tripartizione del fronte e si modifica così il ritmo delle finestre. Generalmente le finestre compaiono sempre in numero dispari. La decorazione di facciata tende a svilupparsi anche sui lati e negli edifici più ricchi viene realizzata in stucco. L’alloggio per le caratteristiche distributive e di taglio, presenta forti analogie con l’appartamento di palazzo che nell’edificio ottocentesco a corpo triplo, viene ribaltato intorno al vano scala mantenendo l’affaccio sul fronte strada. La tipologia edilizia nelle costruzioni nella Piana del Bisagno presenta caratteristiche lievemente differenti, dato il carattere speculativo e la destinazione alla classe media e piccolo borghese; al corpo triplo si sostituisce il corpo quadruplo con vano scala a U, per servire fino a sei appartamenti per piano; il riferimento nei prospetti è sempre il palazzo rinascimentale con ispirazione alle forme gotiche. Lungo la Circonvallazione a Monte compare la palazzina indipendente, tipologia edilizia destinata alla classe borghese, il cui riferimento rimane quello tardo rinascimentale con ispirazione alle forme gotiche secondo un gusto eclettico ormai diffuso, basata sul legame con la natura, sembra richiamare coeve soluzioni inglesi.